La catena del mulino - INcanto di donna
La catena del mulino nasce a conclusione di un progetto INcanto di donna di studio indirizzato a fornire, aggiornare, perfezionare la cultura canora e a stimolare la ricerca e il recupero della cultura musicale lucana, attivando cosi' processi di messa in valore del patrimonio artistico, storico e culturale della Basilicata, di quei “valori corali” indissolubilmente legati alla millenaria identita' del popolo lucano. L’idea progettuale risponde, dunque, appieno alle strategie di salvaguardia e valorizzazione della cultura, dello spettacolo e della tradizione; in particolar modo il nostro spettacolo intende mostrare aspetti della tradizione canora lucana sin oggi celati, uno su tutti la specificita' di genere nell’esecuzione e trasmissione di questo patrimonio: quello femminile.
In coerenza con una logica fondata sul rispetto delle pari opportunita', vuole far si' che la prospettiva di genere divenga una strategia prioritaria. Pertanto lo spettacolo, in ogni sua fase, pone il punto di vista delle donne al centro delle azioni attivate e proponendo una lettura non stereotipata delle differenze donne/uomini.
Esiste una cultura di genere, specificamente femminile, che si e' sviluppata e conservata nei millenni, malgrado i tentativi di annullamento e di repressione, che e' diversa da quella maschile, e che merita di essere conosciuta e studiata nella sua peculiarita'.
Mentre l’uomo e' tradizionalmente impegnato “nella caccia e nella guerra”, il compito effettivo di depositare e tramandare il sapere e' affidato alle donne: sono le donne ad interpretare i segni della natura, a riconoscere erbe buone da erbe cattive, a curare il corpo e la mente, a parlare con l’aldila', ad essere oracoli sin dai tempi dei faraoni.
Tutto questo patrimonio di saperi giunge a noi attraverso il lavoro paziente e discreto di tante donne che oggi purtroppo non hanno un nome. Ciò che di loro vogliamo ricordare, nel nostro liLa catena del mulinomitato progetto, e' cio' che tramandavano da luoghi insoliti, non da altari o cattedre, ma dai lavatoi e dalle culle, luoghi in cui gli uomini non osavano passare, luoghi di narrazione, di canto e di memoria.
Durante le faccende quotidiane, cantavano per esorcizzare una vita fatta per lo piu' di stenti, per rallegrare il proprio spirito, per esprimere un’emotivita' negata, per chetare un bimbo capriccioso, per insegnargli i fondamenti della vita: “…u lup s’é magnat a picurell’ ” (“…il lupo mangia l’agnellino”).
Canti e stili vocali che, uniti al recupero del patrimonio etnomusicologico lucano (canti all’altalena, canti a cupa cupa, canti alla zampogna e tarantelle, ninna nanna, canti rituali) di cui tanto si deve a personaggi del calibro di Ernesto de Martino e Diego Carpitella, e di quello storico-architettonico, gli antichi lavatoi, luoghi incantati ma dimenticati, portano alla appropriazione e ri-appropriazione dell’ethos di un mondo, perso negli usi e costumi, nelle tradizioni, nell’immaginario popolare e collettivo, nelle paure ancestrali e nei dubbi atavici, nella fede e nella superstizione.
Lo spettacolo e' un’importante occasione per ricercare, raccogliere e custodire la tradizione orale, come elemento di inestimabile ricchezza culturale, nei suoi risvolti immateriali; uno strumento per rappresentare e comunicare un prodotto culturale capace di svelare, attraverso la musica, un popolo, la sua anima, la sua millenaria identita', la sua gente, vite, storie di uomini, sentimenti ed emozioni, valori, paure e speranze.
La catena del mulino nasce a conclusione di un progetto INcanto di donna di studio indirizzato a fornire, aggiornare, perfezionare la cultura canora e a stimolare la ricerca e il recupero della cultura musicale lucana, attivando cosi' processi di messa in valore del patrimonio artistico, storico e culturale della Basilicata, di quei “valori corali” indissolubilmente legati alla millenaria identita' del popolo lucano. L’idea progettuale risponde, dunque, appieno alle strategie di salvaguardia e valorizzazione della cultura, dello spettacolo e della tradizione; in particolar modo il nostro spettacolo intende mostrare aspetti della tradizione canora lucana sin oggi celati, uno su tutti la specificita' di genere nell’esecuzione e trasmissione di questo patrimonio: quello femminile.
In coerenza con una logica fondata sul rispetto delle pari opportunita', vuole far si' che la prospettiva di genere divenga una strategia prioritaria. Pertanto lo spettacolo, in ogni sua fase, pone il punto di vista delle donne al centro delle azioni attivate e proponendo una lettura non stereotipata delle differenze donne/uomini.
Esiste una cultura di genere, specificamente femminile, che si e' sviluppata e conservata nei millenni, malgrado i tentativi di annullamento e di repressione, che e' diversa da quella maschile, e che merita di essere conosciuta e studiata nella sua peculiarita'.
Mentre l’uomo e' tradizionalmente impegnato “nella caccia e nella guerra”, il compito effettivo di depositare e tramandare il sapere e' affidato alle donne: sono le donne ad interpretare i segni della natura, a riconoscere erbe buone da erbe cattive, a curare il corpo e la mente, a parlare con l’aldila', ad essere oracoli sin dai tempi dei faraoni.
Tutto questo patrimonio di saperi giunge a noi attraverso il lavoro paziente e discreto di tante donne che oggi purtroppo non hanno un nome. Ciò che di loro vogliamo ricordare, nel nostro liLa catena del mulinomitato progetto, e' cio' che tramandavano da luoghi insoliti, non da altari o cattedre, ma dai lavatoi e dalle culle, luoghi in cui gli uomini non osavano passare, luoghi di narrazione, di canto e di memoria.
Durante le faccende quotidiane, cantavano per esorcizzare una vita fatta per lo piu' di stenti, per rallegrare il proprio spirito, per esprimere un’emotivita' negata, per chetare un bimbo capriccioso, per insegnargli i fondamenti della vita: “…u lup s’é magnat a picurell’ ” (“…il lupo mangia l’agnellino”).
Canti e stili vocali che, uniti al recupero del patrimonio etnomusicologico lucano (canti all’altalena, canti a cupa cupa, canti alla zampogna e tarantelle, ninna nanna, canti rituali) di cui tanto si deve a personaggi del calibro di Ernesto de Martino e Diego Carpitella, e di quello storico-architettonico, gli antichi lavatoi, luoghi incantati ma dimenticati, portano alla appropriazione e ri-appropriazione dell’ethos di un mondo, perso negli usi e costumi, nelle tradizioni, nell’immaginario popolare e collettivo, nelle paure ancestrali e nei dubbi atavici, nella fede e nella superstizione.
Lo spettacolo e' un’importante occasione per ricercare, raccogliere e custodire la tradizione orale, come elemento di inestimabile ricchezza culturale, nei suoi risvolti immateriali; uno strumento per rappresentare e comunicare un prodotto culturale capace di svelare, attraverso la musica, un popolo, la sua anima, la sua millenaria identita', la sua gente, vite, storie di uomini, sentimenti ed emozioni, valori, paure e speranze.